La Commissione osserva che non risulta attivato il preventivo contraddittorio endoprocedimentale previsto dall’ art. 73 DLgs. 507/1993 mediante la richiesta di documentazione utile alla determinazione delle effettive superfici oggetto di imposizione e non risultano allegati all’atto impugnato, e né riprodotti nel loro contenuto essenziale i dati, gli elementi e le informazioni utilizzati per operare le relative rettifiche.
L’Ente avrebbe dovuto avvalersi delle facoltà istruttorie di cui all’ art. 73 DLgs. 507/1993, previa informativa al contribuente, al fine di accertare alla presenza dell’interessato, l’effettiva condizione delle aree detenute. E’ compito del Comune determinare la superficie occupata dal contribuente, mentre spetta allo stesso dimostrare l’esistenza di eventuali cause di esclusione dal prelievo.
L’Ente accertatore ha, dunque, l’onere di provare la fondatezza della sua pretesa specificando il processo logico e la documentazione acquisita per pervenire all’accertamento.
Non può fondarsi l’avviso di accertamento sullo scostamento tra la superficie dichiarata e la superficie risultante dagli atti catastali. La superficie catastale ai fini Tarsu non è altro che una superficie fittizia determinata secondo precisi parametri dettati dal DPR 138/1998.Tale superficie può considerarsi ” convenzionale”, diretta non già ad accertare la superficie per la tassa sui rifiuti, ma a calcolare il valore, e quindi il reddito ordinario medio di un fabbricato. La superficie imponibile ai fini Tarsu non è la superficie catastale, quella cioè ricavabile dalla planimetria, ma quella “calpestabile” espressa in metri quadrati ed arrotondata al metro quadrato superiore.
In ogni caso il Comune prima di emettere l’avviso di accertamento avrebbe dovuto comunicare la eventuale nuova superficie al contribuente, come previsto dall’ art. 1 comma 340 Legge 311/2004 e ciò anche in ossequio al dettato dell’ art. 6 Legge 212/2000 in quanto il dato della superficie catastale non è facilmente individuabile.
Ciò posto la Commissione rileva ai fini del corretto decidere che tale circostanza induce a rilevare la carenza di motivazione dell’atto opposto. Invero la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Ente impositore, in relazione alle risultanze dell’istruttoria, al fine di rappresentare l’iter argomentativo seguito per pervenire all’atto impugnato.Ne consegue che la motivazione dell’atto impugnato, in violazione dell’ art. 7 Legge 212/2000, norma rilevabile dall’atto introduttivo, non contiene l’indicazione degli effettivi presupposti di fatto che hanno determinato la decisione dell’Ente impositore.
Alla luce di tale indirizzo interpretativo, specificamente riferito alla questione del necessario contenuto motivazionale dei provvedimenti del genere qui considerato, appare conseguente ritenere che la carenza di elementi istruttori induce a disattendere l’atto impositivo, risolvendosi nel mancato assolvimento dell’onere probatorio che, in base alla regola generale di cui all’ art. 2697 codice civile è a carico dell’Ente impositore.
Da ciò ne consegue la fondatezza e l’accoglimento del ricorso.
CTP Salerno sentenza n. 464 del 12-02-2018