Ctp Bari : fatture soggettivamente inesistenti e detrazione iva.

La Commissione Tributaria Provinciale di Bari accoglie i ricorsi ( riuniti ) promossi dalla società contribuente avverso tre distinti avvisi di accertamento con i quali veniva contestata una maggiore imposta iva per € 458.729,00 oltre sanzioni ed interessi.

MOTIVAZIONE

Osserva la Commissione che le doglianze della ricorrente hanno fondamento per cui i ricorsi vanno accolti.

In caso di fatture soggettivamente inesistenti, come nella questione in oggetto, al cessionario in buona fede non può essere impedito di portare in detrazione l’iva.

La Corte di Giustizia UE ha chiarito che non può essere sanzionato con il diniego al diritto a detrarre l’iva, un soggetto ” che non sapeva o non poteva sapere” che l’operazione interessata si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore e, per altro, che spetta all’Amministrazione fiscale dimostrare adeguatamente gli elementi” oggettivi” che consentono di concludere ” che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere, non potendosi esigere in maniera generale che il soggetto passivo il quale intende esercitare il diritto alla detrazione dell’iva verifichi che l’emittente della fattura abbia la qualità di soggetto passivo, che disponga dei beni di cui trattasi e sia in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento”. E’ quanto si afferma nella sentenza n. 2218/65/15 della CTR della Lombardia.

Secondo la Corte di Giustizia dell’UE( tra le altre, sent. 13/2/2014 in C-18/13), in caso di fatture soggettivamente inesistenti, per negare la detrazione dell’iva inerente alle prestazioni di servizi realmente ricevute, l’Amministrazione Finanziaria deve provare: la natura fraudolenta delle operazioni; e che il destinatario ne era consapevole. In ossequio alla giurisprudenza comunitaria, la Cassazione, in materia di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, ha ripetutamente affermato l’illegittimità dell’avviso in rettifica ai fini iva laddove il cessionario riesca a provare la propria buona fede attraverso una serie di elementi che consentono al Giudice di poter escludere, non solo la conoscenza, ma anche la conoscibilità della frode, secondo criteri di media diligenza.

Nel caso delle cosiddette frodi carosello, contraddistinte da una catena di passaggi in cui sono riscontrabili fatturazioni per operazioni sia oggettivamente sia soggettivamente inesistenti, con strumentali interposizioni anche di società filtro, occorre dimostrare non solo gli elementi di fatto caratterizzanti la frode( ovvero l’inesistenza di una autonoma struttura operativa del cedente e il mancato pagamento dell’imposta come modalità preordinata al conseguimento fraudolento di un utile da parte della cd. cartiera) , ma anche la consapevolezza di essi da parte del cessionario, quindi la sua connivenza nella frode, anche attraverso presunzioni semplici, ai sensi dell’art. 54, co.2, del T.U. sull’iva, purché connotate da gravità, precisione e concordanza( sentenza Cassazione n. 25779/2014) . Solo in questo caso il cessionario può essere considerato come partecipante all’evasione, con conseguente possibilità per l’ufficio di recuperare l’iva indebitamente detratta.

L’ufficio è dunque tenuto ad allegare elementi obiettivi da cui poter dedurre la partecipazione consapevole del cessionario alla frode carosello. Solo se ciò accade si sposta sul soggetto che intende fruire della detrazione l’onere di fornire la prova contraria.

Ritiene questo Collegio che il fatto di aver intrattenuto rapporti con fornitori abituali evasori non è sufficiente a ritenere il coinvolgimento in una frode. L’analisi che il Giudice è chiamato a effettuare non può avvalersi di automatismi e deve addentrarsi nella disamina della fattispecie concreta.

Dalle brevi repliche depositate dalla ricorrente è emerso che all’epoca dei fatti contestati ha operato con aziende perfettamente in regola con gli adempimenti fiscali tanto che tutte avevano il Vies valido ed erano iscritte alla Camera di Commercio e attive con numerosi dipendenti ed adeguate strutture operative. La Cassazione, tenendo conto della configurazione comunitaria dell’iva e della giurisprudenza comunitaria ha sancito il principio per il quale il diritto del contribuente alla detrazione iva non è suscettibile di limitazioni. Vedi a proposito la sentenza n. 12503/2013 della Corte di Cassazione che così si esprime: ” I costi derivanti da fatture soggettivamente inesistenti sono deducibili anche se il contribuente ha consapevolmente partecipato agli illeciti, ma il Giudice è chiamato a verificare l’effettività, l’inerenza, la competenza e la certezza”. I Giudici di legittimità hanno confermato che le nuove disposizioni introdotte dall’art. 8 del DL 16/2012 hanno integralmente modificato il comma 4 bis dell’art. 14 della L. 537/1993 in tema di costi da reato.

Nel caso quindi di fatture soggettivamente inesistenti, trattandosi di acquisti non direttamente utilizzabili per il compimento degli illeciti, non può più dubitarsi della loro deducibilità. Nello stesso senso, peraltro, si è già espressa l’Agenzia delle entrate con la circolare n. 32/2012.

In conclusione i principi che regolano la deducibilità dei costi nei casi in cui venga rilevato l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti ribaditi dalla sentenza n. 12503 del 22/5/2013( vedi anche sent. Cass, 10167/2012) , sono i seguenti: – in tema di imposte sui redditi, alla luce del nuovo testo dell’art.14 Co. 4 bis della L. n. 537/1993, non è più possibile contestare al Contribuente l’indeducibilità dei Costi per il solo fatto che essi siano esposti in fatture c.d. soggettivamente inesistenti; – il coinvolgimento( anche consapevole) dell’acquirente in operazioni che siano fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore non è sufficiente affinché non siano deducibili i costi relativi alle predette operazioni; – la concreta deducibilità del costo è, in ogni caso, subordinata alla verifica dei requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità. Dello stesso tenore la sentenza della Cassazione n.20372 del 24/8/2017.

Tutto ciò ha contribuito al libero convincimento di questo Giudice nell’accogliere i ricorsi nonostante gli indizi raccolti dai verificatori. Alla luce delle suesposte considerazioni i ricorsi vanno accolti e compensate le spese di giudizio data la complessità del caso in esame.

CTP Bari sentenza n. 473 del 9-02-2018